Su una modesta altura, a destra della strada che da Viterbo porta al Bullicame ( anticamente Bulicame ), c’era l’area urbana della cittadina di Sorrina Nova, fiorita in età romana. Dell’esistenza di questa florida ed importante cittadina ne abbiamo conferma in cinque epigrafi tra le quali la più importante è conservata nella chiesa di San Flaviano a Montefiascone: “M. Aurelio. Elaini. figlio Marcello Pontif. Iur Dic. Sorr. Nov. Quaestori. ark publicae…“. L’epigrafe ricorda la decisione dei supremi organi cittadini di erigere una statua a M. Aurelio figlio di Elaino, Pontefice iure dicundo. Il nome di Sorr(ina) Nov(a) appare per la prima volta in tutta la sua importanza di centro municipale dotato di tutte le cariche e gli organismi d’una prospera autonomia amministrativa.
La popolazione che si concentrò sulla collina occidentale del Riello ( già sede di un pagus ) dando vita ad una Nuova Surina, cioè Sorrina Nova, visse tranquillamente per tutti i secoli dell’impero fondando la propria economia sul movimento commerciale ed umano della Cassia, sulla presenza di stabilimenti termali e sulla fertilità del territorio. Con la rivale Ferento si spartì le funzioni: a Sorrina Nova toccò il ruolo di centro termale e commerciale, mentre a Ferento di offrire spettacoli teatrali e divertimenti per i frequentatori delle terme.
Nella fertile piana viterbese vennero erette numerose ville romane delle quali rimangono ancora oggi ammirabili avanzi. Una di queste si trova sulle alture di Monterazzano ed ha restituito la più bella opera d’arte rinvenuta a Viterbo. Si tratta di una statuetta in bronzo alta circa 60 cm, definita come una divinità italica con aspetto giovanile, caratterizzata dall’attributo del fulmine che la farebbe apparire sotto l’aspetto di Zeus. Altra villa è quella del Belvedere entro la cinta muraria di Viterbo che presenta dei pavimenti ricoperti da preziosi mosaici policromi. Il quieto benessere di Sorrina Nova venne drammaticamente sconvolto dalle orde barbariche che transitavano lungo la consolare. Terme e abitato furono devastati, ma alcuni si rifugiarono, soprattutto durante il periodo longobardo, nella vecchia città, il Vetus Urbs da cui per alterazione si ebbe Veturbo, oggi Viterbo.
Due grandi ruderi del I – II secolo d.C. ed un ponte romano, questo rimane visibile dell’estesa città termale posta nella valle del Caio, vicino a Sorrina Nova che contava almeno quattro grandi complessi: le terme degli Almadiani, del Bulicame, di San Maria in Selce e degli Ebrei. Il ponte Camillario, presso il quale subirono il martirio i Santi Valentino ed Ilario nel 306, è stato negli ultimi decenni portato alla luce liberandolo dalla vegetazione che gli era cresciuta attorno. Fu costruito sulla via Cassia negli ultimi tempi della Repubblica per agevolare il superamento del dislivello del terreno ed il corso d’acqua dell’Urcionio. Attualmente il ponte è largo 13 metri e si presenta formato da un robusto arco formato da sette conci cuneiformi su spallette in opera quadrata di grossi massi di travertino; quelli che mancano sono stati utilizzati per la costruzione della chiesa di San Leonardo all’inizio di via Cavour a Viterbo, oggi trasformata in teatro.
Tutte queste terme erano il vanto di Sorrina Nova, che legava volentieri ad essi il proprio nome ed il proprio sviluppo e prosperità economica come testimoniano alcune iscrizioni. Tra esse quella murata in via Orologio Vecchio in Viterbo: “C. Cafa ( tius ) / in bali ( neum ) /Sorr.( inensis ) /C. Gavi ( us ) / Praef. Fa ( brum ) / ex d.( d ).“.
Oggi le antiche terme del Bullicame sono costituite da una sorgente di acqua sulfurea che arriva in superficie ad una temperatura di circa 58 gradi centigradi.
Da questa sorgente sono state canalizzate le acque a formare delle piscine dove ci si può immergere.
La sorgente del Bullicame è documentata fin dal primo Medioevo, quale punto di passaggio della via Francigena, in particolare era molto amata dall’Arcivescovo di Canterbury che l’aveva denominata Mansio, la sesta tappa in uscita da Roma e la località era definita Sce Valentine. Il luogo è stato anche menzionato da Dante nella Divina Commedia e di questo si ha testimonianza in una stele all’ingresso del parco.