Santa Cristina, la Giovane Martire Patrona di Bolsena

Cristina ( seguace di Cristo ), che visse al tempo dell’imperatore Diocleziano ( 243 – 312 ), era la figlia undicenne di un “Magister Militum” di nome Urbano della città di Volsinii. Nel 264 A.C. difatti, la città etrusca di Velzna, collocabile nelle zone dell’attuale Orvieto, venne distrutta ed i Romani condussero gli abitanti superstiti verso il lago di Bolsena fondando per l’appunto la città di Volsinii.
In casa della fanciulla viveva un’ancella di palazzo che molto presto e all’insaputa dei genitori condusse Cristina verso la fede cristiana. Quando la bambina raggiunse gli undici anni, il padre scoprì la devozione della figlia al cristianesimo e per questo la fece rinchiudere, insieme a dodici ancelle, in un’ala del palazzo, affiché venerasse i simulacri degli dei come se fosse una vestale. Cristina invece, tra lo stupore delle altre ragazze, volgeva l’incenso sulla finestra ad Oriente per offrirlo al suo vero Dio. Alle sue preghiere rispose un angelo che disceso dal cielo le segnò la fronte con il segno della croce e le offrì di mangiare del pane benedetto. Una sera, Cristina afferrò le statue di Giove, Apollo e Venere e legata alla finestra con la fascia che le cingeva i fianchi, si calò dalla torre e frantumati gli idoli d’oro, li distribuì ai poveri della città.
Saputo dell’accaduto il padre Urbano, cercò di riportare la figlia al culto degli dei, ma invano, quindi ordinò a dodici uomini di schiaffeggiare e percuotere con verghe la fanciulla, ma uno dopo l’altro questi caddero esausti a terra. Il padre allora fece portare la figlia in carcere, facendola visitare da sua madre, una nobildonna del casato romano appartenente alla Gens Anicia, ma neanche le lacrime materne riuscirono a smuovere Cristina. Disperato, il padre allora mandò nella notte buia cinque schiavi per legare la figlia al collo con appesa una grossa pietra e gettarla nel lago di Bolsena, ma appena condotta in mezzo alle acque, la videro riaffiorare come una ninfea e sul masso di pietra apparirono le impronte dei suoi piedi ( questo stesso masso andrà a formare la pietra dell’altare della Basilica di Santa Cristina a Bolsena, teatro poi del famoso miracolo, che nel 1263 vide protagonista un sacerdote boemo e di cui parleremo in un prossimo articolo ). All’alba Urbano si recò sulla spiaggia e vide la figlia galleggiare insieme al masso, a tale vista il cuore dell’uomo cedette e morì. Ritornata a riva Cristina fu ricondotta di nuovo in carcere, dove venne fortificata dagli angeli con il pane dell’immortalità.
Ad Urbano succedette Dione, anch’egli persecutore dei cristiani e cercò di ricondurre la fanciulla all’antica sua religione con lusinghe, un matrimonio e crudeli minacce. Non ottenendo nulla Dione allora ordinò di portare Cristina in una caldaia con olio bollente e pece, ma la fanciulla orante ne uscì come da un bagno di fresca rugiada. Allora Dione le fece tagliare i capelli e la fece portare nuda al tempio di Apollo immersa tra la popolazione. La fanciulla pregò Dio di manifestare la sua grandezza ed in quel momento la statua di Apollo scese dal piedistallo frantumandosi al suolo ed una scheggia colpì a morte Dione. A tale spettacolo furono convertiti molte migliaia di pagani.
A Dione succedette un altro giudice, avversario dei cristiani, Giuliano, che fece murare la fanciulla in una fornace per cinque giorni. Dopo tale periodo si pensava di trovare solo cenere, invece fu scorto il corpo della martire circondata da angeli che con il loro battito d’ali la tennero lontana dalle fiamme ( anche oggi esistono i resti di questa fornace, che si trova a circa 2 km a sud sulla via Cassia, luogo che i Bolsenesi chiamano “Fornacella” ). Disperato Giuliano ordinò di legare la fanciulla ad un palo dove fu bersaglio degli arcieri imperiali. Trafitta da due frecce Cristina morì il 24 luglio ( giorno della sua commemorazione ).
La biografia dei santi nella chiesa primitiva ci viene di solito tramandata attraverso le cosiddette “passio”, che descrivono fatti rilevanti e miracolosi della loro vita. Questo racconto, con basi storiche quasi nulle, proviene da uno scritto del IX secolo ed afferma che la Santa fosse originaria di Tiro in Fenicia, ma si tratta quasi sicuramente di un errore dovuto al fatto che la prima “passio” di Santa Cristina fu redatta in Egitto, dove per indicare la terra degli Etruschi, si usava l’abbreviazione “Tyr”, interpretata per l’appunto erroneamente come Tiro.

Le reliquie di Santa Cristina hanno avuto un destino avventuroso, parte di esse sono state trafugate nel 1098 da due pellegrini diretti in Terra Santa, che dovettero fermarsi a Sepino, in provincia di Campobasso e le donarono alla popolazione del luogo, dove anche oggi il culto della Santa è molto sentito e viene festeggiata per ben quattro giorni dell’anno. Altre reliquie furono traslate tra il 1154 ed il 1166 a Palermo, che proclamò la martire come sua patrona celeste festeggiandola il 24 luglio ed il 7 maggio.
A Bolsena sono rimaste solo alcune parti delle reliquie della Santa, ritrovate in scavi del 1880 nel sarcofago ritrovato nelle catacombe sotto la basilica di San Giorgio e Santa Cristina, chiesa risalente all’XI secolo e consacrata da papa Gregorio VII nel 1077. La martire a Bolsena viene festeggiata il 24 luglio, ma la sera del 23 luglio, nella piazza antistante la basilica, viene portato in processione il simulacro della martire posto su un tempietto e contemporaneamente sulla destra del sagrato si apre il sipario di una scena del martirio di Santa Cristina, scene che si ripetono nelle piazze lungo la via della processione, i famosi “Misteri di Santa Cristina”.
La processione arriva sino in cima al paese giungendo nella chiesa del Santissimo Salvatore e lì riposa tutta la notte, fino alla mattina del 24 luglio quando si compie la processione di ritorno con le stesse modalità della sera prima, fino alla basilica di Santa Cristina.

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Abitante dell'Alta Tuscia e precisamente di Montefiascone
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