La località di Rinaldone che si trova pochi chilometri a Nord di Viterbo fino ad arrivare nei pressi di Montefiascone, ha dato il nome ad una facies della civiltà eneolitica ( rame-pietra lavorata ) della penisola italiana. Nel 1903 vennero trovate poche tombe e non intatte, oggi conservate nel museo storico-etnografico L. Pigorini a Roma. Da un successivo studio venne introdotta la denominazione di Cultura di Rinaldone, soprattutto ad opera dell’archeologa Paola Laviosa Zambotti.
L’area di diffusione di questa civiltà non era tuttavia limitata alla pianura viterbese, ma ad una più ampia zona compresa tra l’Arno, il Tevere e la dorsale appenninica fino ad arrivare al mar Tirreno, comprese alcune località dell’Umbria e dell’Abruzzo, con un riconosciuto epicentro culturale lungo il fiume Fiora e le terre circostanti il lago di Bolsena. Iniziò durante la seconda metà del III millennio a.C. e contemporaneamente alla Cultura di Gaudo ( Paestum ) con la quale sembra condividere una eguale provenienza geografica. Secondo alcuni studiosi, alcune genti provenienti dalla penisola anatolica, oggi l’odierna Turchia, approdarono a piccoli gruppi lungo le foci dei fiumi e corsi d’acqua tirrenici e si insediarono nelle nostre terre grazie ad una maggiore superiorità dei loro armamenti ed alla loro indole combattiva, infatti erano organizzati in piccoli nuclei di due o tre decine di individui con struttura sociale a carattere patriarcale e guerriera. Ad essi si deve l’introduzione di asce piatte di rame, pugnali in rame a forma triangolare o dei martelli-ascia, tipiche armi eneolitiche e mazze forate di pietra levigata. La presenza del rame starebbe a dimostrare una notevole attività estrattiva e metallurgica estremamente curata.
Secondo studi recenti la Cività di Rinaldone si divide in due facies che vanno dal 2200 al 1700 a.C., quindi dalla fase del rame a quella del bronzo. Finora di questa cultura si conosce bene solo l’aspetto funerario, poiché tutto lo studio si basa sul ritrovamento di tombe e di oggetti isolati. Da queste tracce si è capito che le genti di Rinaldone non avevano dimore fisse o se l’avevano erano di durata assai breve, nella loro economia prevaleva una vita nomade di tipo neolitico ad esaurimento dei prodotti del territorio, difatti non conoscevano tecniche agricole ed ogni volta andavano alla ricerca di nuove zone vergini. All’epoca il territorio della pianura di Viterbo era denso di boschi, ricco di acque e di selvaggina, per questo motivo queste genti non avevano di certo bisogno di uno stile di vita agricolo, ecco perché si nutrivano di caccia e raccolto delle fertili pianure della zona.
Dai ritrovamenti di oggetti, si è visto che la produzione della ceramica era molto curata, fatta da un impasto a superficie nero-lucida ben levigata. Alcune ciotole sono a stralucido, tecnica assai diffusa nella cultura sarda della prima età del bronzo che consisteva nel rendere molto più lucido l’interno del vaso rispetto all’esterno più opaco, manca o quasi la decorazione. I recipienti erano a forma di fiasca con delle anse adatte all’inserimento di una cordicella e quindi facili da trasportare durante i frequenti spostamenti. Gli ornamenti erano costituiti da collane, denti di volpe, serpentina e diverse pietre.
Nelle tombe è stabile il rito dell’inumazione, fatta in piccole grotte a forno, con o senza corridoio d’accesso, dove il corpo del defunto è di solito in posizione fetale o rannicchiata, non mancano ritrovamenti di tumuli in anfratti che venivano poi chiusi con una pietra. Da notare che, di solito, i luoghi venivano riutilizzati portando le ossa del precedente defunto in fondo alla grotta e le tombe avevano sempre un corredo, anche quelle più povere. I riti funebri venivano celebrati con l’uso di ocra rossa, utilizzata per colorare gli scheletri scarniti, significato legato alla rivitalizzazione del defunto ed alla sua sopravvivenza nell’oltretomba.
Tracce sparse della civiltà di Rinaldone non mancano in altri luoghi come Musarna, Norchia o Tarquinia, lungo le valli della pianura viterbese fino ad arrivare ai monti Cimini. Interessante un ritrovamento di una tomba nei pressi del fosso Conicchio appartenente alla facies del bicchiere campaniforme, cultura assegnabile alla fase finale dell’età del rame, legata e variante quindi alla cultura di Rinaldone, evidenza di continuità di popolazioni in questa terra così ricca di testimonianze umane.