Alcuni anni fa in Alta Tuscia, prima della Pasqua, si assisteva ad una vera e propria impresa. Nella settimana della passione si iniziava, fazzoletto in testa e spazzolone in mano, con le pulizie complete della casa e poi il Giovedì Santo, dopo la visita ai sepolcri, al lavoro per le rituali pizze di Pasqua. Oltre alla fatica nell’impastare per ore 8-10 kg di farina con decine di uova, c’era l’incertezza della riuscita dell’opera e la lievitazione doveva coincidere perfettamente con l’appuntamento che si aveva con la fornaia. Per questo ed altri motivi la lievitazione delle pizze di Pasqua veniva gestita tramite l’uso di bracieri o pentole d’acqua calda o lumini d’olio.
Questa fatica durava 2 giorni ed il riposo non giungeva nemmeno la sera, perché le nostre nonne dovevano controllare la lievitazione e nel caso aggiungere acqua calda o carboni ardenti nei bracieri. Dopo tutta questa fatica, la mattina veniva il momento tanto atteso della cottura nel forno. Finalmente le pizze alte e lucenti arrivavano nelle case a riempirle del loro profumo caratteristico, che completava l’atmosfera pasquale. Ai tempi bisognava però attendere ancora il sabato mattina, quando il parroco del paese con il suo chierichetto, fornito di bussola e canestrino per le uova, dava la rituale benedizione delle pizze e delle uova. La mattina di Pasqua, dopo la Messa, potevano essere gustate inzuppate nel vino e mangiate con la lonza, uova sode e la coratella d’abbacchio, che facevano parte della colazione pasquale dell’epoca.
Nel nostro territorio c’è anche un’altra tradizione associata alle pizze di Pasqua, con la pasta che è rimasta nel contenitore si aggiunge altra farina e si modellano pupazzi con al centro, nella pancia, un uovo, le Scarselle o Bracone, che venivano date ai bambini da consumare per la merenda all’aperto della Pasquetta.
Vediamo a questo punto gli ingredienti per fare le pizze di Pasqua:
Si scioglie il lievito di birra in acqua tiepida e si aggiunge a poco a poco un kg di farina fino a formare una palla di pasta, che va messa a lievitare per alcune ore. A lievitazione ultimata si aggiunge il resto degli ingredienti e si impasta fino a quando non diventa liscia ed elastica. Si inserisce quindi dentro i classici recipienti di rame, fino a metà circa, e poi si fa lievitare sopra un tegamino pieno d’acqua tiepida. Quando la pasta della pizza sta fuoriuscendo si passa sopra, con un pennello, dell’uovo sbattuto e si inforna fino a quando non assume un colore marrone lucido.
Oggi si usa il lievito di birra ( saccharomyces cerevisiae ) ed in una notte le pizze sono lievite, ma le nostre nonne utilizzavano il lievito della frutta ( saccharomyces ellipsoideus ), che fa lievitare la pasta molto più lentamente, ecco il motivo dei 2 giorni di lievitazione. Alcuni di noi, in Alta Tuscia, mantengono ancora questa tradizione viva e nelle nostre case, nei giorni di Pasqua, si sentono ancora i profumi di pizza pasquale appena sfornata, come avveniva nelle case dei nostri nonni.
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